C’era una volta un uomo, uno scienziato, un ingegnere di valore, affascinato dal mito del robot. Dedicò tutte le sue energie a questo scopo ed alla fine, come un novello Rabbi Loew,[1] creò il suo uomo artificiale. Non era fatto di argilla, però, ma di plastica e metallo e diversamente dai robot immaginati dal Buon Dottore,[2] non erano vincolati dalle tre leggi della robotica. Poiché quest’uomo aveva dei vizi ed alcuni di questi erano piuttosto costosi, decise di mettere i suoi talenti al servizio del miglior offerente, senza riguardo alla moralità dei suoi motivi.
Il suo primo, grande successo
fu un robot così simile a Magneto, il signore del Magnetismo da ingannare i
suoi stessi accoliti, un esemplare così perfetto da avere gli stessi poteri
dell’originale.[3]
In seguito ideò un
robot assassino inarrestabile, capace di rintracciare il bersaglio programmato
nel suo database ovunque fosse e “terminarlo” a qualunque costo. Solo la
fortuna, l’abilità ed i supersensi di Devil gli consentirono di fermarlo.[4]
Nel tentativo di vendicarsi di Devil, il nostro uomo perse la vita,[5] ma questa non fu la fine della sua storia. Il suo corpo fu recuperato dai suoi robot preprogrammati che, grazie alla tecnologia del loro creatore, ne trasferirono la coscienza in un corpo robotico.
L’uomo di nome Starr Saxon poteva essere morto, ma il sinistro Machinesmith era vivo ed aveva uno scopo. Uno scopo sinistro, ovviamente.
IL PICCOLO LMD PERDUTO
Di
Carlo Monni & Carmelo
Mobilia
Quartier Generale dei Vendicatori Segreti. New York.
Amadeus Cho era veramente ammirato dal genio che c’era dietro quella
perfetta replica di Jack Monroe che giaceva sul lettino davanti a lui. I Life
Model Decoy erano androidi così perfetti da replicare perfettamente la
fisiologia di un essere umano anche nei minimi dettagli. Quello che aveva di
fronte, poi era un modello addirittura migliorato rispetto alle specifiche
degli LMD che lo S.H.I.E.L.D. gli aveva fornito. Questo Machinesmith era
davvero in gamba, ma anche lui non era uno stupido.
Amadeus aveva appena finito di mangiare l’ennesima merendina giusto in
tempo per evitare lo sguardo di disapprovazione dell’uomo che era appena
entrato.
Steve Rogers, che indossava l’uniforme blu chiaro fornitagli a suo tempo
da Nick Fury, non perse neanche un attimo e si rivolse al ragazzo prodigio:
<Come sta andando ragazzo? Ce l’hai fatta?>
<Ne dubitava comandante?> rispose con tono impertinente Amadeus.
L’occhiata che Steve gli rivolse bastò a fargli chinare la testa ma non
a smorzare del tutto il suo sorriso di soddisfazione.
<Giudichi pure con i suoi occhi.> gli disse, quindi premette un
pulsante su una specie di tablet che teneva in mano.
Immediatamente il corpo sul lettino si mosse e si mise seduto alzando
gli occhi smarriti verso i presenti.
<Steve…> mormorò con voce confusa <Dove sono? Cos’è
successo?>
Dimora della famiglia Carter
Sharon Carter stava osservando la piccola Shannon mentre giocava sul
pavimento di quella che un tempo ormai passato era stata la sua stanza dei
giochi. Indossava un sobrio tailleur color blu scuro ed una camicetta bianca
con i primi bottoni slacciati. Una delle sue regole era: niente uniformi quando
era a casa a meno che non fosse inevitabile. Sua figlia doveva crescere
normalmente o almeno provarci.
Sua figlia… per anni ne aveva tenuta nascosta l’esistenza a chiunque.
Aveva le sue buone ragioni, si era detta: una donna come lei , che viveva nel
pericolo, non avrebbe mai potuto essere una buona madre. Ricordava ancora cosa
aveva provato quando aveva scoperto di essere incinta nella meno adatta delle
situazioni, a migliaia di miglia dagli Stati Uniti, in un territorio ostile
dove se lei e la bimba che portava in grembo fossero morte nessuno lo avrebbe
saputo ed avrebbe pianto per loro. Del resto all’epoca tutti la credevano già
morta. Ricordava anche l’avventuroso momento del parto e quando aveva posato
per la prima volta gli occhi su Shannon, un esserino così fragile dai grandi
occhioni azzurri, che avrebbe meritato di venire al mondo in condizioni
migliori. Non poteva dimenticare il rocambolesco modo in cui era riuscita a
farla arrivare negli Stati Uniti per affidarla ad una coppia di parenti che
l’allevassero come figlia loro. Era stata la scelta più giusta, si era detta:
Sharon Carter, la spia, l’avventuriera, non poteva essere madre, non poteva
avere legami. Aveva continuato a ripeterselo finché le sue certezze non erano
crollate quando Shannon era stata l’unica superstite di un incidente stradale
in cui erano morti entrambi i suoi genitori affidatari.
Il destino aveva un senso dell’umorismo beffardo, aveva pensato Sharon
mentre era al capezzale della bambina che lottava tra la vita e la morte: la
responsabilità che aveva voluto evitare le era piombata addosso comunque e
l’aveva costretta ad uscire da una depressione a cui aveva meditato di
abbandonarsi. Le cose non avvengono mai per caso, avrebbe pensato in seguito.
La piccola Shannon ebbe una ripresa miracolosa, così aveva detto il medico.
Nelle sue condizioni era quasi impossibile non solo che si risvegliasse dal
coma ma perfino che sopravvivesse per un’altra settimana . Invece, contro ogni
previsione, il fisico della bambina non solo aveva resistito ma lei era
migliorata giorno dopo giorno, dapprima lentamente poi sempre più rapidamente
sino a guarire del tutto. Sharon aveva annuito mentre il medico le dava le
buone notizie. Lui non poteva capire, ma lei sì… lei capiva benissimo. Pianse
per la prima volta da anni.
La decisione di riaprire Villa Carter era stata in un certo senso simbolica:
il ritorno a casa ed al tempo stesso un nuovo inizio per lei e Shannon. Sua
figlia non sarebbe cresciuta in anonimi appartamenti, ma nella casa di
famiglia, nel posto che le apparteneva di diritto e pazienza se questo
significava che quando cera una missione Sharon avrebbe dovuto sobbarcarsi il
viaggio sino a New York: ne valeva la pena per la bambina che le aveva sciolto
il ghiaccio che si era formato sul suo cuore. Naturalmente questo non l’avrebbe
mai detto a Steve Rogers. Con lui avrebbe continuato la commedia della dura e
cinica, Non si meritava altro dopo averle fatto credere che era morto. Non le
importava che avesse deciso di fingere la sua morte per smettere di essere
Capitan America, ma le bruciava che lui non avesse ritenuto necessario informarla
come aveva fatto con pochi altri.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dal trillo di un telefono
cellulare molto particolare: un modello ultrapiatto prodotto dalla
Stark-Fujikawa su brevetto di Tony Stark appositamente per lo S.H.I.E.L.D.
Sharon sospirò e rispose immediatamente. Qualunque cosa pensasse di lui,
non poteva far aspettare il suo interlocutore: non l'avrebbe chiamata se non
fosse stato davvero necessario.
<Dimmi, Steve.>
<<l’operazione è cominciata.>> replicò Steve Rogers
<<Quanto ti ci vuole per essere in posizione?>>
<Non più di un quarto d’ora.>
<<È sufficiente. Sharon…>>
<Sì?>
<<Nulla… cioè… salutami la bambina.>>
Mentre chiudeva la comunicazione, Sharon non poté non lasciarsi sfuggire
un mezzo sorriso. Povero Steve: non sarebbe cambiato mai e questo, in un certo
senso, era rassicurante.
Prima di salire in camera sua a cambiarsi, Sharon si chinò a prendere in
braccio la figlia e la tenne stretta a se.
<La mamma deve andare via, ma tornerà presto, te lo prometto.>
Sharon cercò di non badare alla smorfia di delusione sul volto della
bambina e si rivolse al maggiordomo:
<Ho un problema d lavoro, Smithers. Bada a Shannon mentre sono
fuori.>
<Come sempre Miss Sharon . Pensa di tornare per la cena?>
<Lo vorrei tanto. Ci proverò.>
Cinque minuti dopo, a bordo di una Porsche Carrera volante Sharon si
dirigeva verso New York.
Quartier Generale dei Vendicatori Segreti, New York. Mezz’ora prima.
Se non avesse saputo la verità, Steve avrebbe davvero potuto credere che
quello davanti a lui fosse Jack Monroe, Nomad, tanto era perfetta la
somiglianza nei gesti e nel tono della voce.
<Io ... faccio fatica a mettere a fuoco ... ricordo quel bastardo di
Zakharov[6] che mi
torturava e poi più nulla ... come se...>
<Non sforzarti> lo
interruppe Rogers <hai passato dei brutti momenti ma l’hai scampata, adesso
è tutto finito. È tempo che tu ti
rilassi e ti prenda cura di te. Hai la giornata libera, ragazzo.>
<Steve, non è necessario, io ...>
<Non discutere, Jack. Rompete le righe. È un ordine.> Jack fece una smorfia, fece il saluto
militare in maniera ironica e uscì dall’infermeria, dirigendosi verso la sua
camera.
Steve rimase di stucco, fissandolo mentre si allontanava.
<Ha veramente dell’incredibile. Non ricorda nulla di quanto avvenuto
ieri?> chiese un po’ perplesso.
<Naturalmente no.> rispose Amadeus
<Mi sono permesso di eliminare queste informazioni dai suoi ricordi.
Chiunque l’abbia programmato non solo gli ha scaricato tutti i ricordi del vero
Nomad, ma ha anche aggiunto una seconda personalità che avrebbe preso il
controllo non appena ricevuto un determinato segnale. Il nostro LMD era
sinceramente convinto di essere l’originale e non sospettava di essere in
realtà una marionetta del nostro nemico. Al momento opportuno, però, la seconda
personalità avrebbe preso il sopravvento ed eseguito gli ordini per cui era
stato programmato. Una sorta di “candidato della Manciuria” come in quel
film in cui un soldato americano era stato programmato per divenire un
inconsapevole assassino.>
Alle sue spalle il Soldato d'Inverno emise un suono inintelligibile e
tutti si voltarono a guardarlo, consapevoli di cosa stesse pensando. Per
qualcuno era un film, ma a lui era successo davvero: la sua psiche era stata
distorta ed era stato trasformato in un’ubbidiente macchina di morte al
servizio dei Sovietici. Ma come ci erano riusciti? Davvero la sua volontà era
stata troppo debole oppure avevano solo eliminato gli scrupoli morali e lo
avevano reso quello che veramente era?
Preferiva non pensarci. Sentì sulla sua spalla destra il tocco lieve di
una mano subito ritirata e voltandosi vide Yelena Belova, la Vedova Nera.
Istintivamente le sorrise, ma lei non rispose mantenendo un’apparente
impassibilità quasi si fosse pentita del suo gesto.
Nel frattempo, Steve Rogers aveva ripreso a parlare:
<Allora è pronto?>
<Sì.> rispose Amadeus <Mi ci è voluto un po’ ma sono riuscito a
riprogrammare la seconda personalità del nostro amico. Quando Machinesmith lo “sveglierà”, il
segnalatore che gli ho inserito ci avviserà, dandoci la sua posizione. Ci
porterà invariabilmente al luogo dove doveva portare quei documenti che doveva
rubare quando l’avete fermato, convinto di aver portato a termine la missione e
con un po’ di fortuna sarà proprio il rifugio del nostro avversario.>
<Me lo auguro.> commentò Steve. <È la nostra sola possibilità
di liberare il vero Jack.>
<Sempre che sia ancora vivo.> si azzardò a dire Yelena.
<Deve esserlo.> tagliò corto Steve <Andate a prepararvi e
tenetevi pronti ad entrare in azione, mentre io contatto l’Agente 13.>
Ognuno aveva già le sue istruzioni e si recò subito al suo posto.
Steve fece la sua telefonata e quando ebbe finito, restò per qualche
attimo a riflettere: perché le cose tra lui e Sharon erano sempre così
difficili? Perché non riuscivano quasi mai a parlarsi da persone civili?
Comprendeva il suo rancore per averle tenuto nascosto che era vivo, ma lei non
aveva fatto lo stesso quando aveva finto la sua morte per imbarcarsi in una
missione così segreta che ancor oggi lui non era riuscito a capire di cosa si
fosse trattato? Per tacere di Shannon… i motivi per cui Sharon non voleva
parlare del padre della bambina erano quelli che sospettava lui? L’aveva voluta
nel suo team perché si fidava di lei, ma dovevano trovare un sistema per
risolvere i loro contrasti.
Se non altro lo chiamava sempre più spesso Steve invece di Rogers, era
già qualcosa.
Berlino, Settore Sovietico. Marzo
1954
Il Colonello Nikita Čislenko era il
secondo in comando di quell’operazione dopo il Generale Vasily Karpov. Rispetto
al suo superiore, in quel momento assente, era più giovane, più grosso e
decisamente più irascibile. Le sue urla quel giorno si potevano sentire a anche
a parecchi metri al di fuori del suo ufficio.
<Non posso credere a quello che ho
letto sul rapporto della tua missione! Avevi sotto tiro quel cane di americano
ma non sei riuscito a sparargli! Mi stai prendendo per il culo, compagno?>
<No signore.> rispose il Soldato
d’Inverno, apparentemente non risentito dai rimproveri che stava ricevendo.
<E allora come cazzo hai fatto fallire? Soldato, tu quando spari non sbagli.
Hai commesso omicidi molto più complicati di questo, lo so bene. Ho letto il tuo
dossier. Due sono le cose, o ti sei spaventato oppure ...>
<Oppure?> chiese, tradendo quella
sua facciata impassibile.
<Ora capisco le remore di Karpov
nell’affidarti questa missione. Forse avremmo dovuto dargli ascolto, dati i
tuoi trascorsi!>
<Di quali trascorsi sta parlando,
signore?> chiese ancora il Soldato, abbandonando la posizione sull’attenti.
<EHI! Sta al tuo posto, soldato!>
<Di cosa stavi parlando?>
<STA INDIETRO, È UN ORDINE!
GUARDIE!> gridò il colonello, proprio mentre il Soldato d’Inverno lo colpiva
con in pugno. Čislenko cadde all’indietro, poi venne afferrato per il
bavero.
<A COSA TI RIFERIVI? QUALI TRASCORSI?
COSA C’ENTRO IO CON QUEI DUE AMERICANI?> Lo stava soffocando, tirandogli con
forza la cravatta, e avrebbe finito per ucciderlo, se il calcio del fucile di
una delle guardie non si fosse abbattuto su di lui, facendogli perdere i sensi,
un’impresa che probabilmente non gli sarebbe riuscita se il giovane non fosse
stato alterato.
Čislenko si massaggiò il collo e
osservò l’uomo a terra. Ripensandoci, forse avrebbe fatto meglio a lasciare che
il Soldato d’Inverno lo strangolasse sarebbe stato un modo migliore di morire
che affrontare il Teschio Rosso quando gli avrebbe riferito del fallimento
della missione. Il Teschio Rosso, chiunque ci fisse sotto quella maschera (e
Čislenko era ragionevolmente convinto che non fosse l’originale passato ai
sovietici come pretendeva di essere) non era affatto tenero con chi falliva. Il
Soldato d’Inverno era troppo importane per la causa per prendersela con lui e
Karpov godeva di troppe protezioni e la sua obiezione alla missione era stata
annotata quindi sarebbe toccato proprio
a Čislenko fare il capro espiatorio. Se era fortunato, si sarebbe
ritrovato a dirigere un avamposto sperduto in Siberia e se non lo era…
Sudando freddo fece una telefonata.
New York, ora.
Una giornata libera può essere disorientante per chi come Jack Monroe non ha una vita sociale. Che fare, dove andare? D’altronde se il tuo nome in codice è “Nomad” non hai neppure un posto da poter chiamare “casa”. Non c’era altro da fare, dunque, che salire a bordo della sua moto e iniziare a girovagare. Proprio come era solito fare qualche anno prima. Il rombo del motore, il vento sulla pelle e si sentiva come rinascere. Percorreva le strade senza una destinazione quando improvvisamente avvertì l’impulso di invertire la rotta e dirigersi verso fuori città.
<Ci siamo comandante!> disse Amadeus, fissando il display del suo palmare <il pesce ha abboccato. Si sta dirigendo verso una remota area rurale dalle parti di Long Island.>
La conosco, pensò Steve. Era proprio lì che si era battuto per la prima volta con Machinesmith;[7] non si sarebbe mai aspettato che tornasse ad utilizzare un suo vecchio covo. In effetti, era l’ultimo posto dove lo avrebbe cercato. Si rivolse ai suoi compagni:
<Ok, squadra, prepariamoci. Prendiamo l’auto volante e seguiamolo!>
Bucky ed Yelena non si fecero ripetere l’ordine e gli andarono dietro.
In volo sopra i cieli di New York.
Ancora una volta, Steve Rogers non poté non rimanere stupefatto davanti
alla perfezione con cui quel LMD imitava le abitudini e i comportamenti del
vero Jack. Se n’era stato da solo a rimuginare, per poi prendere la moto e
svagarsi, girando senza una meta... proprio come avrebbe fatto lui. Steve si
chiedeva com’era possibile tanta accuratezza nel replicare la psiche umana, e
perché mai uomini di tale genio come Saxon usassero il loro intelletto per il
crimine e il terrorismo. Seduto al suo fianco, il Soldato d’Inverno interruppe
le sue riflessioni per fare una domanda:
<Scusa Steve, ma cos’è quel Progetto Delta dei cui piani l’LMD di
Nomad voleva impadronirsi?>
<Già… vorrei saperlo anch’io.> intervenne Yelena <Nel G.R.U.
circolavano voci che avesse causato il crollo del vecchio S.H.I.E.L.D. ma i
particolari sono sempre rimasti confusi.>
<Per farla breve…> cominciò a spiegare Steve <... l’Hydra
riuscì ad infiltrare nello S.H.I.E.L.D. un LMD modificato. Per motivi non
troppo chiari, questo LMD acquisì una coscienza individuale, si sganciò
dall’Hydra e si dette un nome: il Deltita. Sviluppò un piano a lungo respiro
per sostituire gli uomini chiave dello S.H.I.E.L.D. con repliche LMD di nuova
concezione, simili in tutto e per tutto agli esseri umani, ma migliori degli
esseri umani perché privi delle loro emozioni e remore morali, almeno secondo
il Deltita.>
<Sembra il plot di un vecchio film di fantascienza.> commentò
Yelena.
<”L’invasione degli ultracorpi”.> aggiunse Bucky Barnes
<Un film degli anni 50, metafora della paura comunista. Mi capitò di vederlo
molti anni fa. Lo trovai…
divertente.>
<A volte sei inquietante, lo sai?> gli disse Yelena.
<Già, lo immagino.> la voce di Bucky si incrinò un attimo e Steve
ne approfittò per riprendere la parola:
<I modelli Delta avevano
sostituito il consiglio di controllo dello S.H.I.E.L.D. ma non erano riusciti a
sostituire Nick Fury e per eliminarlo lo incastrarono con false accuse di
tradimento e omicidio. Nick riuscì a cavarsela ed a sventare il complotto
grazie all’aiuto di pochi amici sfuggiti alla sostituzione. Il Deltita ed suoi seguaci finirono distrutti e la minaccia
sembrava scongiurata.>[8]
<Ma ora questo Machinesmith ha ripreso l’idea e vuole le formule
Delta per realizzare duplicati ancora migliori di quelli che già fa.>
<Esatto… ed il peggio è che potrebbe farlo per conto del Teschio
Rosso… quello autentico.>
<Non mi ci far pensare.> commentò Bucky in tono tra il rabbioso ed
il preoccupato <Dobbiamo fermarlo.>
<Certo… ma la nostra priorità è anche ritrovare Jack sano e salvo e
non ditemi che potrebbe essere già morto, lo crederò solo quando lo vedrò.>
Il solito Steve, pensò Bucky, sempre ottimista e positivo sino
all’ultimo. Speriamo che abbia ragione.
***
Nomad arrivò a destinazione, inchiodando davanti al vecchio granaio
apparentemente disabitato. Se qualcuno avesse potuto guardarlo in faccia
avrebbe notato lo stato di trance in cui si muoveva. Sembrava ipnotizzato.
Varcò la soglia d’ingresso e aprì una botola, sotto cui vi era una lunga
scalinata; si muoveva con incedere sicuro, come se conoscesse a menadito il
percorso che portava all’ampia sala monitor, dove ad attenderlo c’era l’uomo (uomo? Ormai costui non si poteva più
definire uomo!) a cui Steve Rogers stava dando la caccia: Machinesmith.
<Bentornato, numero 248. Attendevo con ansia il tuo ritorno. I dati
di cui ti sei appropriato porteranno alla fase tre del piano. Quei patetici
essere organici hanno i giorni contati oramai. Presto il metallo prenderà il
posto della debole carne e questa terra verrà dominata dalle intelligenze
artificiali. Il tuo ruolo in tutto questo non verrà certo dimenticato, figlio
mio. Vieni adesso. Poggia la tua mano nello scanner e deposita il prezioso
contenuto del tuo database.>
L’LMD di Nomad obbedì alla richiesta di Machinesmith. Ormai si
comportava come l’automa che in realtà era: qualsiasi somiglianza con Jack
Monroe era del tutto svanita. Non appena mise la mano sulla console però le
cose non andarono come previsto: sullo schermo del computer iniziò ad apparire
la scritta rossa “VIRUS ALARM”.
<NO! COS’HAI FATTO?> gridò Machinesmith con uno stupore ed una
rabbia decisamente molto umani.
<Non muoverti, ‘Smith!> gridò una voce autoritaria.
L’ex Capitan America era spuntato alle sue spalle
Sul viso di Machinesmith si dipinse un’espressione di sorpresa: aveva
già appreso dall’LMD di Nomad la vera identità del suo nemico finora creduto
morto, ma vederselo davanti in carne ed ossa era tutt’altra cosa.
<ROGERS! TU!>
<Dovevi aspettartelo. Non tentare uno dei tuoi soliti trucchetti,
abbiamo infettato con un virus tutti i tuoi sistemi informatici. Non puoi
trasferire la tua coscienza in nessun congegno elettronico. Sei completamente
indifeso!>
<Indifeso, Capitano? Io non direi ... ADDOSSO!>
Alle sue spalle un fendente tagliò l’aria; solo i suoi incredibili
riflessi permisero al supersoldato di salvarsi il collo. Ad emettere il colpo
era stato Silver Samurai ... o meglio quella che era un esatta copia del
mutante giapponese.
<Non tutto il male viene per nuocere, Rogers ... sarai la migliore
pubblicità possibile per il mio piano. Il mio androide riuscirà il quello in
cui nessuno era riuscito prima d’ora: uccidere il leggendario Capitan America,
l’originale, e non una pallida copia.!>
<Vedremo> esclamò Steve attivando il suo scudo energetico e
parando il colpo successivo, poi però pensò tra se e se: <Ho il mio da fare. Se questo androide è
abile con quella katana anche solo la metà di quanto lo sia il vero
Harada non sarà di certo un avversario facile ... ma ho un vantaggio dalla mia;
dato che non è un essere umano, non devo preoccuparmi di trattenermi come
faccio di solito.>
Altrove
La tattica era tanto brillante quanto logica: il Supersoldato attaccava
il nemico frontalmente, mentre gli altri tre agenti si intrufolavano
segretamente nella base alla ricerca del loro compagno rapito.
Una volta dentro la base Bucky, Sharon e la Vedova Nera si divisero per
cercare il vero Jack Monroe. La base si estendeva per chilometri sottoterra.
Era un complesso enorme. La tecnologia e le risorse di cui Machinesmith poteva
disporre stupivano persino un uomo esperto come il Soldato d’Inverno. Si muoveva furtivo col fucile spianato:
l’aver a che fare con degli androidi gli aveva perlomeno concesso la
possibilità di poter utilizzare quella “forza letale” che solitamente gli
veniva negata. Bucky Barnes infatti non aveva solo il compito di rintracciare
Nomad: il comandante Rogers gli aveva ordinato di piazzare delle cariche per
distruggere la base del nemico. Si aspettava di venire attaccato da un momento
all’altro, questo sì, ma di certo non si aspettava che il suo assalitore fosse
un pazzo vestito da folletto che volava su di un aliante. I pipistrelli-rasoio
di Goblin lo mancarono di poco, andando ad infilzarsi nella parete, mentre le
raffiche laser che sparava dalle dita andarono a colpire proprio il suo fucile
danneggiandolo e strappandoglielo di mano. Ma il Soldato d’Inverno era
tutt’altro che disarmato: impugnate le due pistole che portava sui fianchi
rispose immediatamente al fuoco, costringendo Goblin ad una brusca virata;
questi poi caricò come un ariete, cercando di infilzarlo con il suo aliante, ma
anziché fuggire Bucky gli andò incontro
balzando sull’ala e con un acrobazia riuscì a piombargli sulle spalle. L’LMD di
Goblin non si aspettava una mossa del genere: stando alle memorie con cui
Machinesmith lo aveva programmato (basandosi su quanto visto fare
all’originale) il suo avversario avrebbe dovuto schivare un assalto del
genere; di certo questo Soldato
d’Inverno non era un tipo convenzionale: era uno spericolato, con atteggiamenti
da kamikaze, come se non temesse
la morte. Con il suo braccio sinistro s’era avvinghiato a lui, mentre il
folletto cercava di liberarsi dalla sua presa, e con l’altra mano cercava di
puntargli la pistola alla tempia. Fu questione di un secondo: il colpo esplose
trapassando il cranio del LMD, che si aprì rivelando i circuiti del suo cervello artificiale mentre
fluidi chimici simili al sangue scendevano verso il pavimento
L’LMD cessò di funzionare e i due
precipitarono a terra.
Da un’altra parte nello stesso complesso sotterraneo.
Yelena Belova poteva essere giovane, ma era già un’esperta combattente,
selezionata tra decine di candidate ed addestrata dai migliori che i servizi
segreti russi potessero offrire. Ufficialmente il Programma Stanza Rossa era
stato smantellato anni prima, ma l’attuale Presidente della Federazione Russa
ne aveva voluto il ripristino. Agenti donne selezionate tra il personale di
F.S.B.[9]S.V.R.[10]e G.R.U.[11] furono
sottoposte a durissime prove e Yelena fu l’unica a superarle tutte ed a guadagnarsi
l’ambito titolo di Vedova Nera, un onore concesso solo ad un’altra donna prima
di lei.
<Se vuoi un consiglio, bambina… non sognare ad occhi aperti mentre
sei in missione.>
La voce di donna ebbe quasi l’effetto di una staffilata per Yelena e l’amara
verità delle sue parole era più dolorosa del calcio che la raggiunse al mento.
Nonostante la sorpresa, l’addestramento di Yelena le permise di
accompagnare il colpo e rimettersi in pedi immediatamente, dopo aver fatto
un’agile capriola.
<Complimenti, ragazzina, te la sei cavata bene.>
Yelena conosceva quella voce e la donna a cui apparteneva, una donna dal
corpo agile e flessuoso inguainato in una tuta molto simile alla sua su cui
ricadevano lunghi capelli rossi ed i cui occhi verdi avevano uno sguardo al
tempo stesso severo ed irridente.
<Romanova?> esclamò.
No… non poteva essere lei. Quella non era Natalia Alianovna Romanova (o Natasha
Romanoff, come la chiamavano gli americani), la leggendaria prima Vedova Nera,
la traditrice fuggita negli Stati Uniti e solo di recente perdonata dal
Presidente Russo.[12]
No: quello doveva essere un altro di quei maledetti LMD di Machinesmith, tanto
perfetti da ingannare anche il miglior sensore. Se non avesse saputo che era
impossibile, avrebbe giurato che era proprio lei.
Forse fu un leggero rumore o forse solo il suo istinto, ma Yelena si
scostò proprio un attimo prima che un proiettile appena sparato potesse
trapassarle il cranio.
Rotolò lontano e si voltò quanto bastava per vedere chi le aveva
sparato: era una donna che vestiva un’armatura leggera di colore bluastro ed
indossava un cappuccio simile a quello dei monaci sopra una maschera di metallo.
Aveva sentito parlare anche di lei: un’altra leggenda dei tempi che furono nei
servizi segreti del suo paese, le cui imprese le avevano fatto studiare durante
il corso di addestramento: Zheleznaya Deva o, per dirla in Inglese, Iron Maiden.
<Sei davvero svelta, ragazzina.> disse quest’ultima mentre sparava
ancora.
<NON CHIAMARMI RAGAZZINA!>
ribatté Yelena sparando un Morso di Vedova alla massima potenza.
Iron Maiden barcollò solo per un istante.
<Non male, ma non è abbastanza contro la mia armatura.>
I due LMD si comportavano proprio come gli originali, forse non erano
nemmeno consapevoli di non esserlo, ma non potevano essere all’altezza delle
vere Romanova e Iron Maiden. Machinesmith non poteva aver duplicato i loro
tracciati cerebrali e le loro memorie: non poteva avervi avuto accesso com’era
avvenuto per Nomad… o si? La Romanova era stata presa prigioniera più di una
volta in fondo e Iron Maiden era un agente libero da anni. Non
poteva escludere che in qualche modo i loro schemi cerebrali fossero stati
riprodotti. In ogni caso, non era il momento di porsi simili domande, ma di
agire. Yelena era stata addestrata ad uccidere senza rimorsi ogni volta si
fosse reso necessario, ma in genere esitava ad usare la forza letale, in questo
caso, però, aveva di fronte sofisticati androidi non veri esseri umani. Poteva
lasciare ai filosofi il quesito se in qualche modo fossero vivi, di una cosa
era certa: non sarebbero morti come la gente comune.
Staccò dalla sua cintura quelli che sembravano solo innocui ornamenti ma
che si rivelarono micidiali mini granate ad impatto che una volta colpiti i
loro bersagli vi aderirono e per poi esplodere .
Al termine dell’esplosione la presunta Natasha Romanoff era stesa a
terra con un buco nella pancia e l’armatura di Iron Maiden era danneggiata in più punti. Yelena rimase
sorpresa di come il danno fosse praticamente limitato solo ai bersagli senza
aver toccato né lei né l’ambiente circostante. Quell’Amadeus Cho poteva anche
essere un ragazzino saccente ed irritante e con una fastidiosa tendenza a
sbirciarle l’ombelico, pensò la giovane russa, ma doveva ammettere che nel suo
campo era un vero genio.
Iron Maiden stava per spararle e Yelena non esitò: scartò di lato e
contemporaneamente sparò un Morso di Vedova a piena intensità contro un punto
lasciato scoperto dall’esplosione proprio sul collo dell’avversaria. Iron
Maiden emise un grido soffocato e cadde .
Yelena sospirò e si passò una mano nei capelli. Questi LMD erano così
simili ad esseri umani da averne quasi le stesse debolezze. Era un’imperfezione
o forse un segno della loro perfezione? Domande troppo difficili per lei.
Scosse la testa e riprese il suo cammino.
Nello stesso istante...
Il combattimento tra Steve Rogers e Silver Samurai continuava, mentre
Machinesmith, collegandosi al computer principale, cercava di eliminare il
virus che aveva infettato i suoi sistemi informatici.
<Che tu sia maledetto Rogers ... hai sempre intralciato i miei piani.
Ma stavolta no, non ci riuscirai: il tempo della tua razza è finito, è giunto
il momento che veniate rimpiazzati da degli esseri più evoluti ... un’umanità
2.0 potremmo definirla. È il progresso che avanza, fattene una ragione e
muori!>
<È tutta la vita che combatto contro chi parla di “razze superiori”
Saxon; li ho sempre fermati e non intendo smettere proprio adesso.> rispose
Steve mente continuava a parare i fendenti con cui l’androide cercava di
colpirlo. Schivato l’ennesimo colpo di taglio mirato alla testa, passò
all’offensiva sferrando un colpo dal basso verso l’alto, mirato alla gola: lo
scudo d’energia sfondò la trachea metallica del LMD, facendolo barcollare; poi
con un calcio circolare Steve staccò definitivamente la testa del
samurai-robot.
<NO!> urlò Machinesmith, non aspettandosi questo esito. Steve
raccolse la katana del suo avversario e gliela scagliò contro, infilzando la
console del computer principale.
<Non muoverti!> gli intimò.
<Tu ... tu non hai mai usato una mossa del genere!>
<Non contro un essere umano. Con gli androidi però non mi faccio
troppi scrupoli. Ora parla: dov’è Jack?>
Nel
frattempo...
Sharon aveva già avuto a che fare con Machinesmith: fatta eccezione per Steve,
era quella con maggior esperienza contro di lui. Lasciò dunque che gli altri lo
tenessero occupato, attirando la sua attenzione, e dai rumori che si udivano,
stavano svolgendo in maniera esemplare il proprio compito. Avanzava nel
complesso protetta dalla tuta fornitogli da Amadeus: emetteva degli impulsi
elettromagnetici che impedivano a Machinesmith di rilevarne la posizione;
risultava invisibile ad ogni telecamera, ad ogni sistema ad infrarossi,
comunque ormai manomessi dal virus con il quale l’LMD riprogrammato da Amadeus
li aveva infettati. Il rivelatore che portava sul polso, lo stesso che aveva
usato Steve in palestra il giorno precedente[13]iniziò a
suonare quando lei sì trovò nei pressi di una porta blindata, chiusa, simile a
quella delle celle frigorifere. Era il segnale che Sharon aspettava: Jack, il
vero Jack Monroe, era lì dietro. Per prima cosa, doveva far saltare la porta:
era rischioso, avrebbe attirato l’attenzione, ma non poteva lasciare il suo
compagno lì. Mise il plastico sulla serratura e lo scoppio che ne conseguì fece
crollare la porta. Attraverso il fumo
che si sollevò Sharon entrò nello stanzone e lo vide: Jack era disteso a terra,
coi polsi e le caviglie legate. Aveva un aspetto terribile; sul volto e sul
corpo erano ancora evidenti i segni delle torture a cui Zakharov lo aveva
sottoposto; evidentemente, Machinesmith lo aveva sostituito appena dopo le
violenze subite.
<Jack...
Jack, svegliati. Sono io Sharon. Siamo venuti a prenderti.>
Il ragazzo però
non rispondeva. Era privo di sensi, definirlo “malconcio” era un eufemismo.
<Gesù Jack,
non farmi questo ...> Sharon gli sentì il polso: il battito era debole, ma
costante.
<Coraggio
soldato, in piedi. Ti porterò via di qui. > gli disse tirandolo su. Ma il
ragazzo aveva le gambe come gelatina e non riusciva a stare in piedi.
Solo dopo una
manciata di minuti la bionda si accorse di cos’altro c’era in quella stanza:
centinaia e centinaia di LMD. Stavano in piedi, tutti disattivati, ma l’agente
13 dello S.H.I.E.L.D. li riconosceva quasi tutti: erano le copie esatte di
alcune delle più importanti personalità legate al mondo della criminalità, dei
supereroi, della politica: molti Vendicatori, i Fantastici Quattro, alcuni
membri degli X Men. E poi Tony Stark,
Matsu'o Tsurayaba, Kingpin, il Gufo. E
ancora: il re del Wanda T’Challa,
Valerie Cooper, Henry Peter Gyrich,
Bolivar Trask, Magneto, il
Senatore Robert Kelly, il Congressista
Bolt, il primo ministro della Symkaria fino ad arrivare addirittura al Presidente ed il Vice Presidente degli Stati
Uniti ed il Presidente ed il Primo
Ministro della Russia.
Il piano di
Machinesmith era persino più diabolico di quanto si fosse aspettata. Ecco a
cosa gli servivano i piani nascosti dal Deltita: ad ottenere tutte le
informazioni per rendere le copie assolutamente credibili e identiche agli
originali. Più umane degli umani stessi, in un certo qual modo.
Già in passato
Machinesmith aveva costruito copie androidi che di supereroi e supercriminali
che erano dotate perfino degli stessi poteri degli originali (e come avesse
fatto rimaneva un mistero ed era anche la testimonianza del suo genio). Se
avessero avuto anche tutti i loro ricordi ed esperienze ma senza la loro
umanità, cosa li avrebbe potuti fermare?
Persino un
agente del calibro di Sharon non poté non rabbrividire davanti ad una tale
ipotesi; poi però riprese il controllo dei nervi:
<Qui agente
13, mi ricevete? Ho trovato Nomad. Mi
serve aiuto.>
<Qui Vedova
Nera, ti ricevo. Dammi le tue coordinate.>
Nel laboratorio principale di Machinesmith
Il volto di Machinesmith era trasfigurato da una collera fin troppo
umana mentre si rivolgeva a Steve Rogers:
<Dovevi restare nel tuo buco a fingere di essere morto, Rogers,
perché con la fine che ti farò fare rimpiangerai di non esserlo stato
davvero.>
<Mi aspettavo di meglio da te che questi discorsi triti da
supercriminale di serie Z sai?> lo stuzzicò Steve <Una volta almeno avevi
il senso dell’umorismo e amavi citare i film noir. Che è successo: le sconfitte
ripetute ti hanno guastato il carattere?>
<Sta zitto. Tu, uccidilo!>
Il comando era rivolto al LMD di Nomad che meccanicamente alzò il
braccio destro e puntò una specie di pistola contro Steve.
L’ex Capitan America valutò la situazione. Avrebbe potuto disarmare lo
pseudo Jack Monroe in vari modi prima che riuscisse a sparargli, invece alzò in
alto le mani e parlò:
<Non devi farlo, non sei il suo burattino. Dentro di te c’è la
coscienza di Jack Monroe e lui è un uomo buono… anche tu lo sei.>
<Non stare a sentirlo!> urlò Machinesmith <Uccidilo adesso!>
<Lo senti, Jack? Posso chiamarti Jack, non è vero? Lui pensa che solo
perché sei un androide gli devi obbedienza. Ho conosciuto degli androidi che
hanno rifiutato di essere delle marionette, hanno scelto di essere eroi. Anche
tu puoi fare quella scelta, Jack.>
<Steve… io… io…>
Con una mossa repentina lo pseudo Nomad si voltò verso Machinesmith e
gli sparò un raggio laser che lo tranciò in due.
<CHE COSA HAI FATTO?> urlò Machinesmith. Anche con il corpo diviso
a metà, la sua mente continuava a funzionare.
<Quello che dovevo.> fu la risposta del LMD, poi sparò un altro
colpo contro un quadro comandi già danneggiato dalla katana lanciata da Steve,
che iniziò ad emettere scintille, poi si rivolse ancora a Steve:.
<Vattene Steve. Questo posto sta per saltare in aria.>
<E tu? Non puoi rimanere qui, sarebbe un suicidio.>
<E allora? Credi davvero che ci sia posto là fuori per un androide
che ha cercato di rubare la vita di un altro? Anche il vero Jack sarebbe
d’accordo, credimi.>
<E’ fuori discussione, non ti lascerò. Ci dev’essere un modo per
...>
Steve non finì la frase: qualcosa di duro lo colpì alla testa
tramortendolo. Alle sue spalle il Soldato d’Inverno aveva il volto cupo.
<Ben fatto.> gli disse il falso Jack <Ora portalo via. Tu sai che è la
soluzione giusta.>
<Si.> fu la laconica risposta di Bucky mentre si caricava Steve
sulle spalle, poi si voltò per un attimo e aggiunse.
<Sei più uomo di molti che ho conosciuto.>
<Detto da te è un bel complimento. Ora vattene per favore.>
Quando il Soldato d’Inverno se fu andato, lo LMD si rivolse ancora al
quadro comandi.
<Il virus informatico sta funzionando bene. Il 90% dei dati è già
stato cancellato.>mormorò
<Tu sai che sopravviverò anche questa volta.> gli si rivolse Machinesmith
<Questa è solo una sconfitta temporanea per me.>
<Anche se fosse vero, senza questi dati dovresti ricominciare da
capo. Mal che vada, ti avremo fermato per qualche anno e magari il Teschio
Rosso non sarà tanto contento quando saprà di questa tua iniziativa
solitaria.>
Rapidamente le dita del LMD manovrarono alcuni comandi ed ecco che una
voce metallica scandì
<<Meno dieci secondi
all’autodistruzione.>>
<Perché?> chiese Machinesmith <Perché vuoi sacrificarti per
degli umani?>
L’altro scosse il capo.
<Non credo che lo capiresti anche se provassi a spiegartelo. Forse
non lo so nemmeno io.>
<<Meno tre secondi
all’autodistruzione.>>
<In ogni caso non ha più molta importanza adesso.>
<<Autodistruzione attivata>>
Più che un’esplosione fu un’implosione. Il rifugio di Machinesmith si
accartocciò su se stesso ed un’onda di calore lo attraversò completamente
liquefacendo ogni cosa all’interno. Nessuno avrebbe mai saputo quali fossero
stati gli ultimi pensieri del LMD di Jack Monroe.
Il vero Jack Monroe, invece, si lamentava debolmente, sdraiato su una
brandina del piccolo jet, dove la Vedova e Sharon lo avevano adagiato dopo
averlo faticosamente tratto in salvo.
Il Soldato d’Inverno si voltò ad osservarlo e poi guardò Steve sulla
brandina accanto. Era riuscito a coglierlo di sorpresa solo perché Steve lo
considerava un amico e non si sarebbe mai aspettato di venire colpito alle
spalle proprio da lui; era stato un atto da vigliacco e non lo consolava il
fatto che fosse stato necessario.
<Hai fatto la cosa gusta.> gli disse Sharon <Quel testone di
Steve non se ne sarebbe mai andato altrimenti.>
<Questo dovrebbe farmi sentire meglio?>
<Io dico di sì.>
Bucky accennò ad un sorriso. Il senso
di colpa era una cosa abbastanza nuova per lui, ma qualcosa gli diceva che
avrebbe dovuto abituarsi a conviverci.
EPILOGO UNO
Uno degli indubbi vantaggi di avere un siero del supersoldato che ti
scorre nelle vene è che riesci a guarire dalle ferite molto più rapidamente di
un comune essere umano. Certo, tra gli
effetti collaterali può esserci il delirio paranoide, ma chi ha mai detto che
tutte le ciambelle devono per forza riuscire col buco?
In meno di una settimana Jack Monroe si sentiva di nuovo abbastanza in
forma. Le torture del presunto generale Zakharov non avevano lasciato segni
permanenti sul suo fisico, ma le ferite psicologiche sarebbero guarite
altrettanto rapidamente?
Jack non era l’unico ad essere problematico: c’era anche Bucky. Sarebbe
riuscito ad adattarsi alla sua nuova condizione?
Il Professor Steve Rogers si poneva queste ed altre domande mentre
cercava di insegnare ad una classe distratta della Lee Academy i misteri
dell’arte di Picasso. Cosa riservava il futuro a lui e la sua squadra? Aveva
preso quattro individualisti pretendendo di trasformarli in una squadra. Non
era la prima volta che gli accadeva. Le altre volte aveva avuto successo, ma
stavolta? Solo il tempo avrebbe chiarito come si sarebbero comportati davanti
alla prossima minaccia e Steve era convinto che non sarebbe passato troppo
tempo prima che se ne presentasse una.
EPILOGO DUE
La donna dai capelli castani si chiese se quella che leggeva sul volto
dell’uomo al suo fianco fosse autentica emozione. Da quando lo aveva conosciuto lo aveva sempre visto controllato e padrone
di se ed in parte era stato quello ad affascinarla. C’era anche dell’altro,
ovviamente, per esempio il fatto che avesse una straordinaria somiglianza con
Steve Rogers. Gail Runciter era stata innamorata dell’uomo che era stato
l’originale Capitan America ed aveva pianto quando aveva appreso della sua
morte. Forse per questo aveva ceduto così facilmente quando lui era apparso
nella sua vita, con quel viso e quel sorriso chele ricordava tanto Steve, anche
se aveva una sfumatura più maligna. Ma chi era veramente l’uomo che diceva di
chiamarsi Michael Walter Rogers e perché sembrava davvero emozionato mentre
spingeva il vecchio cancello di quella villa apparentemente abbandonata da
decenni a poche miglia dalla pacifica e
sonnolenta cittadina di Sayville, Maryland?
<Io sono nato qui.> la voce di Mike Rogers ruppe il silenzio <In questo giardino ho giocato con mio
fratello e fatto primi allenamenti di
baseball con mio padre. Quelli erano giorni… peccato che non siano durati.>
<Che ne è di tuo fratello?>
<È… morto. Preferisco non parlarne.>
Raggiunse il piccolo portico e provò la porta d’ingresso della casa. Era
chiusa ma non fu un problema per lui forzare la serratura.
La prima cosa che fece una volta entrato fu spalancare le finestre.
<La mia vecchia casa… pronta per diventare la nostra base
segreta.>
<Non ha paura che ti cerchino proprio qui?> chiese Gail <In
fondo sei un latitante ricercato.>
<Tranquilla. Nessuno ci cercherà, qui o altrove: troppa gente mi
preferisce libero piuttosto che in una prigione dove potrei raccontare segreti
scottanti. >
<Potrebbero anche preferirti morto.>
<Ci hanno provato in tanti e non hanno avuto successo. Credimi,
Gail, non ti pentirai di stare al mio
fianco. Faremo grandi cose insieme io e te.>
Gail Runciter si chiese se lui
non fosse pazzo, ma non le importava: avrebbe seguito Mike Rogers anche fino
all’Inferno se necessario e al Diavolo le conseguenze.
FINE
NOTE DEGLI AUTORI
Tranquilli, non vi faremo perdere
troppo tempo, solo quanto basta per chiarire alcuni punti che potrebbero essere
oscuri.
1)
Quando era ancora il semplice umano Starr Saxon,
colui che era destinato a diventare Machinesmith costruì davvero un robot con
le sembianze ed i poteri di Magneto e o suo per reclutare il mutante Mesmero e
convincere Lorna Dane che in quanto sua figlia dove va collaborare con lui.
L’inganno fu svelato in Uncanny X-Men Vol. 1 # 59 ma a tutt’oggi
rimangono un mistero: le motivazioni di Saxon, se il robot fu una sua idea o se
lo costruì su commissione di qualcuno rimasto ignoto e come abbia fatto a
duplicare alla perfezione i poteri innaturali di Magneto.
2)
Iron Maiden, alias Melina Vostokovna, il cui nome,
che deriva dal leggero esoscheletro di metallo che indossa, è ispirato allo
strumento di tortura che noi in Italia chiamiamo anche Vergine di Norimberga, è
una creazione di Ralph Macchio (no, non l’interprete di Karate Kid -_^) e
nientemeno che George Perez utilizzata come antagonista della Vedova Nera in
una storia della serie antologica Marvel Fanfare risalente al 1984. Iron Maiden
in sostanza era un’agente sovietica (oggi dobbiamo dire Russa) che aveva avuto
lo stesso addestramento di Natasha Romanov con cui aveva un rapporto di amicizia/rivalità.
In seguito si era messa in proprio come assassina a pagamento. Aveva lavorato
per un po’ agli ordini dell’ex mercante d’armi divenuto supercriminale Damon
Dran, l’Uomo Indistruttibile e poi si era unita alle Femizon di Superia e qui
ne abbiamo, per ora, perso le tracce. Incidentalmente pare che nessuno sappia
quale sia il suo vero volto sotto la maschera di metallo che indossa.
3)
Gail Runciter un personaggio creato da J.M.
DeMatteis & Mike Zeck su Captain America Vol. 1 # 268 nel 1982 come
agente dello S.H.I.E.L.D. Cosa ci faccia al fianco del misterioso Mike Rogers,
lo scoprirete leggendo i prossimi episodi.
4)
Michael Walter Rogers è una creazione di Carlo
Monni basata liberamente su personaggi creati da Steve Gerber & Sal Buscema
e ridefiniti da Roger Stern & John Byrne. Secondo le intenzioni originali,
Mike Rogers doveva essere il fratello maggiore di Steve, morto a Pearl Harbor
il 7 dicembre 1941. In seguito la storia si rivelò falsa, un depistaggio per
chi avesse eventualmente scoperto la vera identità di Capitan America,
elaborato ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Restava il fatto che un Mike
Rogers e la sua famiglia erano esistiti veramente e restava la domanda: come
poteva qualcuno che non era collegato a lui avere il suo stesso cognome ed
essere praticamente identico a Steve Rogers? Poteva essere, se entrambi fossero
stati discendenti di quel capitano Steve Rogers della cui esistenza ci aveva
informato Jack Kirby nel lontano 1976. Prese così forma l’idea di recuperare
Mike Rogers e dire che non era morto a Pearl Harbor come si credeva, ma era
sopravvissuto ed era stato segretamente sottoposto allo stesso trattamento di
suo “cugino” con una variante del siero del supersoldato per poi essere usato
in missioni segretissime ad alto rischio non sempre molto cristalline o
legittime, In seguito il siero ebbe l’effetto di minare la moralità di Mike che
divenne sempre più incontrollabile e decise di mettersi in proprio... o almeno
questo è quanto racconta lui stesso. A quanto pare, il siero gli avrebbe
rallentato l’invecchiamento, visto che oggi appare come un uomo di un’età
compresa tra i 35 ed i 45 anni e non di 95 circa, ma forse c’è dell’altro che
dobbiamo ancora sapere su di lui, Altre notizie su Mike e sul suo ruolo in
questa serie le avrete nei prossimi episodi.
Per ora è tutto. Con il prossimo episodio ci prenderemo una pausa dal
ritmo serrato tenuto sinora, ma sbagliereste a pensare che sarà tutto
tranquillo per nostri protagonisti.
Carlo & Carmelo
[1]Il creatore del Golem secondo la leggenda ebraica.
[2] Isaac Asimov naturalmente.
[3] Come visto su Uncanny X-Men Vol. 1° #50/53 (Prima edizione italiana: Capitan America, Corno, #51/56).
[4] Daredevil Vol. 1° #49/52 (Prima edizione italiana: Devil, Corno, #46/49)
[5] Daredevil Vol. 1° #55 (Prima edizione italiana: Devil, Corno, #52)
[6] L’ex Colonnello Generale Russo Nikolai Alexandrovich Zakharov, o meglio il suo LMD, antagonista dei nostri eroi negli episodi 5 e 6.
[7] Su Captain America Vol. 1 #248/249 (Capitan America & I Vendicatori, Star Comics, #23).
[8] Un resoconto forzatamente compresso di eventi narrati nella miniserie Nick Fury vs S.H.I.E.L.D. (In Italia sull’omonima miniserie edita dalla Play Press.)
[9]Federal'naya sluzhba bezopasnosti Servizio Federale di Sicurezza, analogo, almeno in parte al F.B.I. americano.
[10]Sluzhba Vneshney Razvedki. Servizio Informazioni Estere, omologo russo della C.I.A.
[11]Glavnoye Razvedyvatel'noye Upravleniye. Direttorato Principale Informazioni, il servizio segreto delle Forze Armate Russe,
[12] Come mostrato in Marvel Knights MIT #5
[13] Nello scorso episodio, per essere esatti.